258 Venier (1), camerlenghi e castellani Pietro Venier e Paolo Loredan; provveditori Gio. Gradenigo e Pietro Corner, sotto il comando dei sopracomiti Carlo Zen e Michele Steno (2). Uomo maraviglioso per le vicende della vita e per le valorose imprese fu certamente Carlo Zeno, ma l’immaginazione si piacque di abbellirne ancor più le geste e tesserne una vita, che quantunque scritta da un suo di-scendonte, ha più l’aspetto del romanzo che della verità. Ed invero nè le cronace più antiche e accreditate, nè Gio. Sagredo, nelle sue Memorie dei monarchi ottomani, nè gli scrittori bizantini, come neppure il discorso funebre tenutogli da Leonardo Giustinian (3), ci raccontano di lui tante e sì strane avventure come in quel libro si leggono e che furono dai moderni ripetute, a lui specialmente attribuendo e per singoiar modo 1’ acquisto di Tenedo. Tuttavia essendo quel racconto da parecchi accettato, non sarà fuor di proposito dire brevemente quanto esso ci fa sapere del Zeno. Destinato dall’ infanzia alla vita ecclesiastica, Carlo era stato mandato alla corte del papa, da cui ottenne una prebenda, poi recatosi agli studi a Padova, fu assalito per via da masnadieri e lasciato per morto. Raccolto e guarito, (1) Misti Senato p. 149. Invio di Ant. Venier bailo a Tenedo, e spese da farsi per la chiesa cattolica nell’ isola 10 gen. 1377. (2) Caroldo. (3) Leonardo Giustinian nella sua orazione funebre tenuta alla morte del Zen nella chiesa della Celestia 8 maggio 1418 (Orazioni dì veneziani patrizii, Ven. 1795) loda la sua coltura nelle lettere, dice di lui eh’ erasi esercitato anche nella musica, narra delle sue imprese, delle sue magistrature in patria e fuori, della sua eloquenza ammirata in Francia e in Inghilterra, ed altrove, ma nulla di aver egli avuto parte alla liberazione di Giovanni. E il Serra nella sua Storia della Liguria e di Genova (p. 425), così si esprime : « Era a questi tempi famoso un imperadore in Costantinopoli soprannominato, a cagione delle sue strane invenzioni, il Diavolangelo. Costui trovò modo di aprire la prigione di Anema all’ imperatore Giovanni e a suo figlio Manuele, i quali se ne fuggirono a Scutari sull’opposto lido dell’Asia, e senz’altro pensare ricorsero ai Turchi».