185 sello, dopo aver cercato invano di difendersi, si parti borbottando. Secondo che si andava approssimando il 15 aprile, destinato alla rivoluzione, cercavano i congiurati di aizzare il popolo contro i nobili, commettendo in nome di questi sopraffazioni e violenze (1) ; andavano la notte trascorrendo per la città e facendo molte insolenze a quanti incontravano plebei, insultando anche le loro donne, e poi ridevano fra di loro chiamandosi 1’ un 1’ altro con cognomi di nobili, berteggiando e fischiando dietro a quelli che avevano insultato (2). L’ 8 aprile furono arrestati parecchi, tra altri Zannini Bono con Menegello suo tìglio, Menico Lero, Andrea Za-fono, Tosso Michele (3), e tornata la quiete si credette colla punizione di quelli aver tolto ogni fermento e pertubazione. Ma giungeva intanto il giorno disegnato. Erasi convenuto che i capi si distribuissero qua e colà coi loro drappelli nei diversi sestieri della città, pronti ad iiccorrere armati in piazza al primo segnale che sarebbe stato dato dalla campana suonata a stormo a san Marco in sull’ albeggiare del giorno 15, e spargendo voce d’una flotta genovese entrata nel golio e minacciante di penetrare nel porto, do-veano dar motivo ai nobili di radunarsi, e uniti che fossero farne strage, fra le grida di Viva il principe Fallero. Mentre la trama era stata fino allora condotta con tanta segretezza da sfuggire alla vigilanza dello stesso Consiglio dei Dieci, avvenne che uno dei congiurati per nome (1) Caresini in Dandolo. (2) Cronaca Savina. Difatti nel libro Misti Cons. X, vi sono varie condanne pro rumore et inlumestis verbis dictis, oppure occasione verborum ineptorum dictorum contra statum et honorem dominationis. Il centro dei tumulti e delle invettive contro il governo era a Castello, dal che si conferma che nella cospirazione entravano principalmente i marinai. (3) Misti Cons. X, t. IV, p. 32 t,.°