229 siglio dei Dieci al Cav. Zeno con tutte le conseguenze di essa, cioè il proclama, l’arresto ed il bando, e mettendo in evidenza le ragioni che quella scrittura rendevano illegale e n’ esigevano 1’ annullazione. Parlò poscia in senso contrario Alvise Yalaresso, ma in modo fiacco, affettato, fra lo strepito del Maggior Consiglio, specialmente quando propose di trasmettere la cosa al nuovo Consiglio dei Dieci, e con 848 voti contro 298 fu vinta la seguente deliberazione: « Che per autorità di questo Maggior Consiglio la Parte presa nel Consiglio dei Dieci 1’ 8 luglio p. p. ed intimata al cav. Zen allora capo del medesimo Consiglio, insieme colla Parte del suo arresto del 23 detto, e la sentenza di bando del 29 come contrarie alle leggi e alle ragioni, abbiano ad essere casse ed annullate, come non fossero giammai avvenute, e che per autorità di questo Consiglio si mandi a cui spetta, affinchè i detti atti sieno distrutti da tutt’ i libri, filze e registri ove si trovassero annotati » (1). Pubblicatasi questa dichiarazione sulle scale di Rialto, lo Zeno fu richiamato ed entrò in Venezia il 19 fra gli applausi del popolo adunato intorno al suo palazzo a San Marcuola (Ss. Ermagora e Fortunato), però non uscì di casa se non il 21, giorno di riduzione del Maggior Consiglio nel quale parlò troppo prolisso e con qualche presunzione di sè, cosa che dispiacque. Continuandosi intanto le discussioni sulla riforma, egli vi prese parte al solito con grande veemenza, il correttore Contarini lo chiamò all’ordine, e strepitando il Consiglio, il Contarini disse, di sussurri egli non aver paura, e che essendo ormai vecchio ed avendo esercitato molti carichi, avea sempre atteso all’essenziale dei negozii, nè mai fatto stima di voci ; che ora spiegava il suo pensiero che sembrava essersi male interpretato, vor- (1) Registro Ottobon'us, Mag. Gens., pag. 105.