466 revano. Il conflitto diveniva micidiale, tremendo; quattro cappuccini e due padri dell’ Oratorio che in qualità di cappellani avevano seguito il valoroso drappello, col crocifisso in mano i combattenti esortavano, ai feriti soccorrevano. Il duca scorreva tra il ferro ed il fuoco intrepidamente, si mostrava per tutto, animava i suoi, provvedeva ad ogni cosa. Ma la lotta era troppo impari, e fu uopo alfine ritirarsi; i conti Yillemor, Tavanes ed altri furono uccisi, più di sessanta furono i feriti, fra i quali il d’Aubusson, il Montmorin, il Crequì ; ultimo a rientrare fu il Feuillade riportando tre ferite. Tale fu il termine di questa sortita, che per vero dire fu una fazione vigororissima, ma di nessuna utilità, perchè mancò il fine principale che debbe avere una sortita, quello cioè di dare molestia ai nemici e guastare le loro fortezze (1). E con la medesima impazienza con che aveano voluto uscire ad affrontare il nemico, vollero ora i pochi superstiti, credendo aver fatto abbastanza per l’onore, rimbarcarsi portando seco il germe della peste che finì di decimarli durante il viaggio. Così nessun sollievo era stato da loro recato all’ afflitta Repubblica, la quale solo quanto più si avvicinava agli estremi sembrava eccitare le simpatie, come or diremmo, dell’ Europa. Essa in questa sola campagna, come l’ambasciatore Antonio G rimani fece vedere in apposito registro a papa Clemente, avea mandato in Candia novecento settanta quattro mila ducati in danaro contante, ottomila settecento soldati oltre gli ausiliari, duemila guastatori, mille remiganti, dugento vent’ un bombardieri, sessanta operai di varii mestieri, grani e formento, farine, discotti cento sessanta mila 3taia ; quarantun pezzi di cannone, armi di più sorte in gran quantità ; polvere due (1) Irray, St. dell’ assedio di Candia, citato dal Darfi.