213 niva nel vilipendio del suo capo ad esser vilipesa anche essa. Il Collegio voleva mandar parte, ossia proporre la cosa al Consiglio de’ Dieci eccitandolo a deliberare ciò che alla saviezza sua più sembrasse opportuno, ma Zeno salito in bigoncia si fece a dimostrare la convenienza della sua proposizione, che l’atto avesse ad essere registrato, non già, com’ei diceva, pel Principe attuale e pe’ figli suoi che sono angeli, ma per ovviare ad abusi avvenire, pei pericoli cui del continuo era esposta la Repubblica dai secreti maneggi di Roma, la quale coi benefìcii e colle dignità mirava a farsi parziali quanti più potesse tra i più autorevoli cittadini, dalla qual considerazione mossi aveano i progenitori dettate savissime leggi concernenti gli ecclesiastici, e per la facilità che aver poteano di rapporti con principi esteri, esclusi i figli de’ dogi dall’aver reggimenti e voto in Senato, esclusi perfino in generale i parenti dall’esercitar mercatura, chiaramente vedendosi qual eccesso di guadagno potrebbe fare un figliuolo di doge se fosse mercante, e quale avvantaggio ei si godrebbe nei dazi. Nè il suo discorso era punto esagerato essendo allora noto ad ognuno come nella casa Corner a s. Polo si vedevano da più anni sargie fiorentine proibite dalle leggi, che i figli di Sua Serenità stavano da molto tempo in Roma contro le leggi del Maggior Consiglio, e che Giorgio Corner era interessato in molte sorta di ne-gozii, specialmente in quello degli animali bovini che venivano da Zara. Ne derivò grande scalpore : il Donato salito in bigoncia parlò contro lo Zeno rimproverandolo aver egli da sè solo voluto ammonir Sua Serenità, cosa contraria agl’ istituti della Repubblica ; prendeva Zeno a rispondere, quando ecco ad un tratto Gio. da Pesaro Capo del Consiglio de’ Dieci levarsi e intimargli di discendei’e avendo egli con Bartolomeo