230 rebb’egli, cioè, che non si dilazionassero tanto le deliberazioni con lunghezza di discorsi, non facendosi poi cosa alcuna, perchè bisognava accomodare le cose alla meglio, nè attendere a sottigliezze, che i cervelli sottili non sono buoni per le Repubbliche, che perciò la Repubblica fiorentina era caduta ed a Venezia ancora sovrastare molti travagli, carestie, guerre vicine da tutte le parti, onde convenirsi lasciar finire il negozio in bene, e che il cav. Zeno si contentasse della vittoria avuta, perchè non ne poteva aver tante. Zeno continuò per altro ad infierire contro il Consiglio de’Dieci, esaltando all’incontro la giustizia della Quaran-tia, innanzi alla quale non avea sdegnato di comparire anche un figlio del doge, Antonio Venier, per l’insulto fatto all’ onore di quelli di ca’ Bocolo a s. Trinità (1), ma le ne-micizie contro di lui si rinfocolavano ed ei vedovasi sempre solo, facendosi accompagnare soltanto dai figli, e da qualche servo per sua sicurezza. Non per questo si asteneva dal tuonare contro gli abusi, e n’ ebbe nuova occasione quando il papa avendo conferito al cardinale Federico Corner il vescovato di Padova in luogo di quello di Vicenza (1629), il Senato lo fece pregare di nominarvi altro soggetto. Tornarono in campo le solite accuse di broglio, lo stesso Corner domandava d’esserne sollevato, ma papa Urbano che l’aveva già preconizzato in Concistoro, non volle ritirare la nomina. Il cardinale allora rinunziò da sè e la sede rimase vacante finché morto nel 1631 il patriarca Giovanni Tiepolo, il Senato nominò in suo luogo il Corner e conferì il vescovato di Padova al fratello di lui Marc’An-tonio, Primicerio allora di s. Marco. Altre dissensioni furono a quei tempi col papa per dazi e per la libera navigazione del Golfo che la Repubblica (1) Vedi t. Ili, p. 337.