145 guenze». Poi tornando sul giustificarsi diceva: «che era nelle incombenze degli ambasciatori il dar lettere di favore, eh’ egli avea una formula generale che rilasciava a chiunque la domandasse per recarsi a Milano ed altrove senza neppur vederlo, solo indirizzandolo alla segretaria, essendo altresì suo obbligo di ascoltare le proposte da qualunque parte venissero, ma tuttavia egli protestava da cavaliere e da cristiano di non aver mai ascoltato alcuno sui propositi di che allora ragionavasi, non aver egli neppure dato ascolto a siffatta genia di vagabondi che sono oggi a Venezia, domani a Roma, l’altro dì a Milano e vanno vagando qua e là su per le osterie, gente tutta di pessima qualità; non saper cosa abbiano fatto altri ministri, ma quanto a sè aver sempre rifiutato di ascoltarli ; aver bene inteso che da alcuni di quegli oltramontani si facesse questo e quel disegno forse ad arte per venderlo a caro prezzo e che se ne parlasse fin nelle osterie e nei magazzini, ma quanto a sè ripetere giurando da cavaliere e da cristiano non essere entrato per nulla in tali malignità e indignità, anzi essendo pochi giorni fa venuto uno a dirgli che avea certo disegno e ordine di andare a negoziare a Costantinopoli ne 1’ avea sconsigliato, non essendo bene mettere le mani in queste pratiche, come materie scandalose e molto contrarie alla religione e alla pietà cristiana ; chiudeva confidando che col tempo sarebbe conosciuta la sua sincerità e ripetendo la sua preghiera che fosse provveduto alla sicurezza sua e della sua casa. Le case degli ambasciatori, diceva, devon essere sempre illese, come sono sacrosante, io vengo a mettermi nelle braccia della Signoria con quella confidenza nella lor bontà e benignità che farei in quelle di mio padre et del re medesimo ». Alla risposta secca del consigliere anziano Giovanni Dandolo, che la cosa sarebbe presa in considerazione, rin-Vol. VII. 19