507 di nuovo il comando di quelle armi, già sotto di lui si fortunate. Egli levandosi allora del suo seggio e togliendosi dal capo il corno ducale (modo usato unicamente all’ occasione che il nuovo doge ringraziava della sua creazione il Maggior Consiglio) offerse al servizio della Repubblica tutto sè stesso, pronto a dedicare in prò’ della patria quel poco avanzo di vita che ancora potessegli rimanere. Non è a dirsi qual fosse a tal notizia la gioia univer- 1693. sale, e apprestata ogni cosa occorrente fu fissato il giorno 24 maggio del 1693 pel solenne imbarco del doge. Alla mattina di quel giorno, raccoltosi il Senato nelle Sale del Collegio e levato il doge, questi si trasferiva con pomposa processione nella chiesa di s. Marco. L’ aprivano i carabinieri, gli alabardieri, la cappella musicale, cui seguivano gli staffieri in livrea di lusso di velluti chermisi, con guer-nimenti d’ oro, il clero di s. Marco, i canonici, il Patriarca (1). Preceduto dai banditori con trombe e stendardi, dagli scudieri, dalle cariche militari, dai nobili di Terraferma, dal maggiordomo, dai secretarli del Senato, da altri ufficiali e dignitarii, tra’ quali il gran Cancelliere, incedeva il doge Morosini vestito del gran manto di capitano generale di finissimo drappo broccato ad oro, avendo a’ fianchi il Nunzio papale e 1’ ambasciatore di Francia, dietro a sè i paggi che gli sostenevano lo strascico, e col bastone del comando in mano, cosa che a molti dispiacque, come segno troppo manifesto di autorità in città libera e repubblicana. Succedevano la Signoria, i Procuratori di s. Marco, i magistrati, i due consiglieri Giorgio Benzoli e Agostino Sagredo destinati ad assistere il capitan generale, il Senato, infine i parenti e gli amici. Quando tutta la solenne processione si trovò in chiesa, fu dal patriarca celebrata la messa (1) Garzoni St. Yen. I, 504.