423 dette opportuno soprassedere pel momento, esibendosi di mettere la sua proposizione in iscritto. Gli fu accordata brevissima dilazione, dopo la quale tornato il Cappello col foglio in mano s’ adoperava con ogni ingegno a persuadere la convenienza della restituzione scambievole dell’occupato, ma Ahmet montò in tanto furore, che ordinò si partisse tosto dalla sua presenza e dallo Stato, poi mutato pensiero fecelo arrestare già giunto ad Adrianopoli e custodirlo in prigione (1). Del che non è a dirsi quanto la Repubblica si risentisse e ne muovesse querela a tutt’ i principi ed alla Francia in ispecialità, alla quale siccome mediatrice veniva il vezir per quell’ atto a mostrare grande sprezzo. Distratto però ancor sempre il regno dalle proprie cure, altro non fece Luigi XIV se non che mandare il figlio dell’ ambasciatore de la Haye alla Porta con efficaci premure per ottenere la liberazione del Cappello, così sostenendo in tutto il corso di questa guerra i Francesi la parte di mediatori anziché di sostenitori della Repubblica, non vedendo forse mal volentieri prolungarsi una lotta che favoriva il proprio commercio nel Levante. Tuttavia le loro insinuazioni, sebbene caduto il vezir Ahmed ed altro succedutogli di nome Mohammed, non valsero a far rimettere in libertà il Cappello, il quale poi finì miseramente logorato dal dolore e dai patimenti a Costantinopoli (2). Conveniva dunque alla Repubblica mettere ogni speranza unicamente nella forza delle armi e anzi delle armi proprie, poiché tranne qualche lieve aiuto dai Maltesi e dal Papa, che poi ogni anno all’ avanzar della stagione si ritirava, dovea essa supplire a tutto da sé sola. Candia resisteva ancora, nè i nemici vi facevano tali progressi da lasciarne (1) Lettere del Cappello 10 e 15 febb., 9 marzo e 10 aprile 1653. (2) In mezzo alle tante sue sofferenze avea tentato perfino di togliersi la vita. Andrea Valier, Della guerra di Candia, p, 317.