203 un tempo in che l’ambizione, l’avarizia, l’amor dei piaceri comunemente prevalevano (1). Pareva dunque che pei prestati servigi e per coteste sue qualità gli competesse il diritto al posto di Consigliere del doge allora vacante. I suoi nemici per lo contrario si davano a tutta possa a sostenere Gio. Antonio Belegno senatore di grande credito per la professione del mare, il quale rimase infatti approvato nello squittinio, ma nel Maggior Consiglio tenuto il 24 novembre 1624 lo Zeno riportò la palma con 616 voti, in confronto di 551 del Belegno. Restò dunque lo Zeno consigliere, e già l’anno seguente accadeva caso (19 marzo 1625) atto a produrre nuovo scompiglio. Trattavasi di mettere in pena quelli che fino allora non aveano pagato la decima. Alcuni gentiluomini a tale notizia si presentarono alla porta seco recando il danaro e domandando di poter pagare prima che si tirasse la solita linea nei libri dei Governatori alle entrate. I savi del Collegio sostenevano si dovesse in quel momento rifiutare per non dare il cattivo esempio pel quale nessuno nell’avvenire avrebbe più pagato a tempo debito, riducendosi agli estremi ; non doversi concedere agevolezze ad alcuno a confronto di altri ; le leggi stesse proibire le prolungazioni del termine stabilito all’esazione del pubblico danaro. Sosteneva invece Zeno non essere di servigio pub- (1) Vedi lettera di Gr. A. Venier allo Zeno nella sua Storia delle Rivoluzioni seguite nel Governo della Repubblica dì Venezia, Cod. DCCLXXIV, cl. VII ital., alla Marciana. Ecco come lo giudica lo storico Michele Foscarini r « pronto di lingua, di popolare eloquenza, di buon zelo, generoso e di conosciuta integrità, ma di pensieri torbidi, facile ad intraprendere le controversie e atto a sostenerle con l’apparenza delle leggi e del pubblico bene, fatto vago degli applausi della piazza aspirava alla gloria di rendersi autore di deliberazioni cospicue. »