451 lar quei che nell’ istesso tempo pensavano distruggere chi sopra stava. Si confondevano pertanto in comune sepolcro le membra lacere et i cadaveri degli amici e de’ nemici, e correvano in quelle caverne indistintamente rivi di sudore e di sangue. Tanto veniva permesso dalla qualità del terreno che facilmente cedo alla zappa; e come i Veneti ave-van escavato gli anni addietro sin al filo dell’ acqua, così l’estrema siccità di quest’ anno tollerava, che molto più penetrar potesse, di modo che i lavori andavano più di novanta piedi sotto la controscarpa. Ma i Turchi accostandosi all’ opera del Panigrà diedero principio a più calde fat-tioni, tentando con fornelli di spianare i bonetti avanzati, e con assalti occuparli, et all’ incontro i difensori coll’ arti medesime contendevano loro i progressi. Vedevansi perciò volar in aria le genti, che si preparavano d’ andar all’ assalto, e sottentrando altre squadre, se trovavano spianati i terreni, s’ affacciavano loro altri nuovi ripari inalzati in momenti con pali e con sacchi, che riempiti di terra formavano un’ altra difesa. Molti bravi officiali et i migliori soldati morivano, nè valeva il ripartirsi o cuoprirsi, poiché dal seno della terra scoppiando sotto i piedi la morte, perivano indistintamente i più valorosi et i vili. Alla fama di così celebre assedio molti cavalieri si mossero volontarii da ogni parte di Europa, e tra i più cospicui furono il baron Gustavo di Wrangel svedese et il cavalier d’Arcourt francese, che ancor giovanetto, sbarcato con quaranta persone di suo seguito, diede saggi di estremo coraggio, fin a tanto, che gravemente ferito in testa, convenne con dispiacer suo ritirarsi. » Dal maggio al novembre 1667 avvennero trentadue assalti, diciassette sortite, seicento diciotto mine erano scoppiate tra 1’ una parte e 1’ altra, perirono tremila dugento de’ Veneziani, con quattrocento ufficiali, ben ventimila dei