UNGHERIA mincia con voce squillante, termina rauco, con il volto livido per la fatica. Qualcuno che se ne stava pacifico, sbuca intanto dalla folla, si fa largo a stento, si precipita sul treno, trascinandosi dietro il triplice fardello di sua moglie, dei suoi bimbi, dei suoi cesti. Anche noi, rispettando la tradizione magiara, abbiamo il nostro programma. In due ore eccoci a Veszprém. La città è un po’ distante dalla stazione e, mentre i nostri compagni di viaggio si pigiano sull’automobile pubblica, noi saliamo sulla comoda vettura del canonico Lukcsics il quale, oltre ad averci invitati, ci ha preparato una sontuosa accoglienza nella sua casa principesca. Il vetturino rigido a cassetta, indossa l’uniforme di gala e il consueto piccolo feltro, dalla falda ripiegata, che lascia dietro spenzolare una lunga fascia nera. Due bei cavalli si mettono al trotto e percorriamo così il chilometro che ci separa dalla città. Lasciamo a sinistra la scuola d’artiglieria per i sotto-Ufficiali. Incontriamo soldati, paesani vestiti a festa che si godono il loro ozio fumando e pipando, contadine che ancheggiano con moto procace, ritornando dalle Devozioni. Siamo a Veszprém, La cittadina è piccola e graziosa : un po’ ani-