15 poiché in quella era la città e Repubblica nata e sempre stata allevata. Non volesse dunque Sua Santità prestar orecchio ai maligni, che suggerir le potessero concetti lontani da quella pietà che Venezia avea dimostrato in tante e sì gravi occasioni ; del resto lo stesso ambasciatore avere assicurato, che consapevole del pio e religioso animo di questa Repubblica, l’uso della sua religione non sarebbe se non per la sua persona e per la sua famiglia e nella sua lingua inglese senz’ ammettere a prender parte al suo culto nè fiamminghi, nè alemanni, nè altri, nè sarebbe mai per apportare scandalo nè disgusto di sorte alcuna. Laonde si tenesse ben certa Sua Santità che il veneziano governo non sarebbe mai per mancare a sè stesso, nè rimetterebbe punto dell’ usato zelo nelle cose spettanti alla cattolica religione. Nè qui finivano le reciproche querele. Clemente Vili avea emanata una Bolla che vietava ne’ suoi Stati l’alienazione e la compera de’ beni degli ecclesiastici, ed il Senato insistendo che i sudditi veneziani restassero ne’ loro antichi privilegi, faceva rappresentare col mezzo del suo ambasciatore che fino dal primo avviso avuto di detta Bolla avea scritto il 14 luglio, il 4 e 25 agosto 1601 al proprio oratore a Roma che supplicasse Sua Santità a voler dichiarare che per quella non sarebbe a recarsi pregiudizio alcuno ai Veneziani, al che Sua Santità avea risposto che nella Bolla non voleva far eccezione, ma che se fosse necessario ne farebbe una dichiarazione a parte. Pubblicatasi adunque la Bolla, il Senato faceva rinnovare l’istanza per avere la detta dichiarazione a tenore delle Bolle di Sisto V e d’ altri Pontefici in proposito di vendite, compere e permute di beni posti nello Stato ecclesiastico, e conforme a quanto avea premesso Sua Santità, molto più che dal canto suo la Repubblica si era mostrata compiacente verso la Santa Sede