236 Ma il partito, che or dicemmo democratico, fra i patri-zii non cessava di cogliere ogni occasione per rialzare il capo e cercare di spogliare i maggiorenti delle loro speciali prerogative. Nel 1636 si levò il medesimo partito contro la distinzione delle vesti, e fu discussione agitatissima e che dev’essere ricordata non per la importanza propria, ma per lo spirito ond’ era mossa e lo scopo a cui tendeva. Usavano da immemorabile tempo i patrizii la veste lunga, distinguendosi i primi magistrati per autorità e decoro dal colore e dall’ ampiezza di essa, onde simil veste chiamavasi ducale, o più volgarmente a maniche larghe. Quelli che uscivano dalle cariche di consigliere o di Savio del Consiglio, quelli che tra le urbane e politiche tenevano i primi posti, o che distinti per sostenute ambasciate, erano stati insigniti del grado di cavalieri, continuavano però ad usare la stessa foggia, ma di color nero per tutta la vita. Cominciarono alcuni prima con leggero bisbigliare, poi con più aperti discorsi nei circoli e nell’ozio del foro a biasimare quest’ uso e tal distinzione non autorizzata da alctina legge, anzi ad accusarla come ambiziosa invenzione di quelli che non potendo per gl’instituti prudenti della Repubblica continuare nei magistrati, volevano almeno ad ostentazione portarne la insegna ; sturbarsi per questo l’eguaglianza de’ cittadini, essere stati ordinati gli uffizi a breve tempo, appunto per che modesto ne fosse l’uso; non negli esteriori ornamenti consistere la vera gloria del buon cittadino, ma negli animi de’suoi concittadini, nella gratitudine che la patria tutta tributa ai suoi benemeriti servigi. Altri invece opponevano colla uniformità delle vesti togliersi via i gradi, e non alla persona soltanto, ma allo stesso merito, che di più specie può essere ; non doversi levare una distinzione eh’ era eccitamento a conseguirla. Agitata la questione nel Maggior Consiglio, 1’ uso delle vesti alla ducale fu ricondotto alle prescrizioni di