209 potesse ben sostenere la sua carica, volentieri, ad un loro cenno, rinuncierebbevi. Mossero queste parole a compassione il Collegio, il quale serbò per qualche tempo profondo silenzio, poi levatosi Nicolò Contarmi, disse che essendo il consigliere più vecchio, giacche tutti tacevano, prenderebbe egli il primo a parlare, mostrando meravigliarsi che gli avogadori senza intervento d’un Consigliere si fossero arrogati di abrogare una parte già sancita dalla Signoria, e che quanto alla persona di Sua Serenità poteva bene affermare che adempiva i numeri d’ottimo cittadino in modo da non poterne desiderare uno migliore. Parlarono dopo lui alcuni altri, e con simile concetto, intanto venuti come a caso gli avogadori, e vedendo che si parlava di loro, diedero informazione delle leggi, ma essendo tardi, il doge licenziò il Consiglio e si ritirò. Il dopo pranzo, prima dell’ora di Pregadi, lo Zeno fece dire al doge che come capo del Consiglio de’ Dieci, desiderava parlargli. Gli fece rispondere il doge che da se solo nelle sue stanze private non poteva ascoltarlo, ma che volesse esporre quanto avesse a dirgli, nella camera dell’ u-dienza, presente la Serenissima Signoria. Recatosi effettivamente in quella, sedette tra i Consiglieri e i capi della Quarantia ai quali rese conto del fatto. Entrò poi Zeno con due secretarii del Consiglio dei Dieci, e disse che avrebbe voluto parlare da solo a Sua Serenità, ma che il Principe avea fatto ancor meglio invitandolo ad esporre i suoi pensieri davanti al suo piccolo Consiglio. Fu invitato a sedersi e a coprirsi, il che egli fece dicendo che si copriva come capo del Consiglio dei Dieci, ma che come Renier Zeno restava con la" debita riverenza. Poi prese ad esporre che ai Capi del Consiglio dei Dieci era principalmente raccomandata la cura dell’osservanza della Promissione ducale, con obbligo Vol. VII. 27