214 Gradenigo suo collega sospeso tutte le cose da lui fatte. Rispose Zeno non voler discendere, non avendo essi facoltà di far quello che dicevano. No? rispose il Pesaro : ebbene, si chiami il Consiglio de’ Dieci. Allora grande confusione in Senato, tutti si levano in piedi, chi voleva il Consiglio chi no ; intanto il Consiglio de’ Dieci adunavasi e la proposta del Pesaro e del Gradenigo, che fosse annullata la ammonizione del Zeno, fu approvata. Zeno non quietava e nel primo Maggior Consiglio tenuto il 3 ottobre portò accusa contro il Pesaro e il Gradenigo come caduti nell’ ammenda di ducati duemila per essersi ingeriti contro la legge del 1458 nella Promissione ducale, e dichiarando che la soluzione dei casi dubbi era di spettanza del Maggior Consiglio e non d’ altre magistrature, domandava volesse esso Consiglio decidere, se potesse un capo solo far inchiesta ed ammonizione al doge, ovvero fosse necessario si trovassero tutti e tre o due almeno. Dopo lungo ragionamento dello Zeno e la risposta del Pesaro posto il partito, la votazione riuscì a favore del primo, il quale volle fosse pur registrata nella cancelleria la pena in cui erano incorsi i suoi due colleghi. Contro la condanna dei due capi suddetti molto si disputò nel Consiglio dei Dieci tenuto il 4 Novembre. Alfine lo Zeno si arrese e la pena al Pesaro e al Gradenigo fu condonata, si passò all’elezione de’ nuovi capi e rimasero Pietro Foscarini, Pietro Sagredo e Agostino Bembo. Godeva Zeno nel popolo la opinione di severo riformatore degli abusi, e stando alla testa del partito, che or diremmo dell’opposizione, non lasciava occasione di contrariare ai proponimenti del Governo come avvenne tra altre facendo approvare la Parte di ricompensare un certo Pantaleone de’ Yisavii da Schio che aveva fatto pervenire a Yenezia la testa di s. Isidoro, parte che molti opponevano, altri volevano differire,