219 nella riduzione del Maggior Consiglio tenuto in quel dì, mandò a leggere una scrittura a’ Consiglieri nella camera d’udienza, nella quale diceva : « Che intendendo egli di parlare quella mattina nel Maggior Consiglio intorno alla Promissione ducale avea voluto farli consapevoli acciocché potessero dar esecuzione alle leggi circa il cacciare (l’allontanare) il doge e suoi parenti. » Ma i Consiglieri non vollero fare alcuna terminazione in proposito, sicché il doge v’ intervenne con tutt’i suoi. Rinnovò allora Zeno la domanda nel Consiglio, ma nulla fu fatto; perciò salito in bigoncia disse, che mentre ringraziava s. Isidoro della vita prolungatagli, considerava tal grazia solo come un impegno a tutta dedicarla al bene della patria ; bisognava eh’ ei tuonasse contro quelli che ne ammazzavano la libertà; parlò della intimazione fattagli dal Consiglio di Dieci contraria alla pubblica libertà, che permette ad ogni cittadino di liberamente esporre quanto stima conferire al pubblico bene ; parlò di corruzione, di violazione alla legge del 1538, che il doge dovesse allontanarsi dal Consiglio quando vi si trattasse di materie relative a’ suoi parenti ; domandare che si eseguiscano le leggi non è un voler novità, ma tutt’al contrario ; obbedire egli e riverire i patrii statuti, non voler distruggere il Maggior Consiglio ma anzi confermarlo, consolidarlo con dargli quegl’incarichi che veramente gli spettano; che egli, ad intimazione del grande Vettor Pisani, perseguitato dal doge e perciò posto prigione, perdonava a tutti ; che non avrebbe offeso nessuno, ma voleva si decidesse se il doge e i suoi parenti potessero o no essere presenti ; nell’ un modo o nell’altro deliberassero, nè volessero colla irresoluzione impedire che altro in quel dì nel Consiglio si facesse. Levossi il Basadonna consiglier anziano e disse che ora sotto il velo della osservazione delle leggi miravasi a gettar sottosopra il governo della Repubblica, che un solo vole-