220 va poter più di tutti gli altri e sforzare la serenissima Signoria a deliberar quello che non approvava ; pretendere il Zeno di proporre al Maggior Consiglio e strappar da questo una decisione in cosa di grandissima importanza all’ improvviso, contro la legge del 1624, la qual vuole che tutto quello che deve venir deliberato dall’autorità del Maggior Consiglio abbia ad essergli letto otto giorni avanti; non voler i Consiglieri contravenir a questa legge ad istanza di alcuno, nè lasciarsi guidare dalla volontà d’ un solo, perchè finalmente egli replicava quello che altre volte avea detto : Tale è questa Repubblica che non patisce Cesari, ed ogni qual volta nascerà un Cesare, sorgeranno contro di lui mille Cassii e mille Bruti. Rispose prontamente lo Zeno molto incalorito, sè non esser Cesare, perchè operava da privato cittadino, nè esser opera da Cesare quella di manifestare i suoi sensi al Maggior Consiglio e farlo giudice di essi, poiché Cesare voleva poter solo senza il Senato; che contenta-vasi sottostare alla prova se veramente ei meritasse tal nome, purché anche il Basadonna si accontentasse di sottoporsi alla medesima censura e ridursi in un camerotto prigione insieme con lui, mentre un certo numero di giudici, tratti dal Maggior Consiglio, formassero processo della vita e dei costumi d’ambedue, e quindi giudicassero a quale dei due meglio si convenisse il nome di buon cittadino. A questa proposta si levò un riso universale non essendo il Basadonna senatore d’integra fama, e lo Zeno prendendone animo, disse: «Signori, e’si fanno tutte queste cose perch’ io non ho autorità di mandar parte, fatemi A-vogadore che allor potrò proponervi quanto farà bisogno, e saranno rimosse tutte le opposizioni. » Fin allora il doge avea taciuto, ma incoraggiato dal Basadonna, prese a dire che il cav. Zeno muq,veasi contro di lui per vendetta dell'attentato nel quale siccome egli