218 tutti comparve accompagnato dal suo solo cameriere al Consiglio. Gli fu intimato che dovesse astenersi dal promuovere discorso o trattazione di materie già discusse e deliberate dal Consiglio, e molto più dall’inveire con accuse, con biasimi e denigramenti di persone pubbliche, o r 'car offese ad alcuno, rimanendogli però libero di procedere in quanto credesse opportuno e di ricorrere per le vie legali e nelle forme volute e conformi al veneziano governo. Biasimavasi il modo come nei giorni passati si era condotto a palazzo benché forse senza intenzione di promuovere concorso di popolo, ma le maniere da lui tenute aver dato motivo di scandalo, il quale doveasi sempre con ogni cura evitare, poiché da debolissimi principii, anche contro il pensiero dell’autore, spesso derivano perniciosissimi effetti ; minaccia vasi infine di tutto il rigor delle leggi in caso di sua inobbedienza. Di codesta intimazione del Consiglio furono divulgate molte copie, e ben vedevasi nascondere essa un tranello contro lo Zeno, poiché era quasi impossibile che qualche parola non venisse interpretata a suo danno ; il divieto di parlare su materia già decisa dal Consiglio tendeva ad impedirgli di portare al Maggior Consiglio l’affare delle ferite; l’obbligare a comunicar prima al Consiglio le cose intorno a cui intendesse introdurre inchiesta od ammonire, equivaleva ad un arrogarsi del Consiglio di trattar materie concernenti la trasgressione della Promissione ducale prima che fossero portate al Maggior Consiglio cui per legge spettavano ; quel presupporre origine e causa di scandali e disordini in un pubblico rappresentante parve cosa insolita e riprovevole, poiché dicevasi, se avea operato scandalosamente, si dovea punirlo, ma non esser lecito farsi giudici delle intenzioni. Osservò lo Zeno profondo silenzio fino al 23, quando