217 quindici anni di carcere cui era stato condannato per colpa d’omicidio ed altre, onde pubblicamente dicevasi corrotto il Consiglio, richiedersi una radicale riforma. Intanto Zeno risanava, ed è facile immaginare s’ei menasse querele del Consiglio dei Dieci, diceva che non poteva più assicurarsi d’andare nella Corte di Palazzo senza una guardia e senza la veste di ufficio, che il Consiglio dei Dieci teneva per interessi, parentele e brogli dalla parte del doge, che domandava esser fatto Avogadore per ovviare alle trasgressioni della Promissione ducale, che essendo stato assalito a causa di questa, al Maggior Consiglio, non a quello dei Dieci, spettava il suo caso, e da quello doveasi far annullare quanto era stato fatto, ed eleggere un corpo di giudici disinteressati che prendessero per mano questo negozio e facessero quelle indagini e quelle sentenze che fossero convenienti. Ma il Consiglio dei Dieci rispondeva essere Zeno uomo torbido ed inquieto, il quale voleva che per semplici sospetti si rovinassero onorati gentiluomini, che pretendeva camminare per la città con soldati e archibugi contro la legge e il costume di Venezia, lo somigliavano alcuni all’artifizioso Dionisio siracusano che per simili arti si era impadronito del governo della sua patria. Nella elezione dei Capi del Consiglio nel mese di luglio 1628 si trovò nominato lo Zeno insieme con Angelo Mo-rosmi e Paolo Basadonna. Recatosi egli prima in chiesa a ringraziare della sua guarigione s. Isidoro verso il quale professava singoiar devozione, andò poi al Tribunale accompagnato da guardie armate a sua sicurezza, il che spiacque a molti, e gli furono per l’avvenire vietate. Giubilavano di ciò i suoi nemici sperando ch’egli si terrebbe quindi innanzi confinato in casa per timore della sua vita, ma egli pregato un suo amico Pietro Loredan andò ad abitare nella casa di lui posta sulla piazza, e con sorpresa di Vol. VII. 28