426 l’impossibilità di difenderla, spogliatala delle insegne, l’abbandonò. poi proseguendo il viaggio valendosi di lenzuola e d’ altri drappi in luogo delle squarciate vele, seguitò le navi che uscite fin da principio dal canale e veduti ardere alcuni legni, aveano creduto tra quelli perita la capitana. Scoperta però allora con grande gioia la malconcia nave del Delfino che le seguiva, allentarono le vele e si fecero ad accoglierla dando altissimi segni di allegrezza, nè stancandosi di ammirare il valore spiegato dal capitano e dai suoi (1). La sera il capudan bascià diede fondo a Troja ferito in un braccio, perduti molti soldati e molti legni. Il Delfino voleva il domani con tutta la squadra assalirlo, ma il vento glielo impedì, e il Turco dopo aver consumato un mese a risarcire la flotta, corse a vettovagliare la Canea, rientrò poi nei Dardanelli, reputandosi a gran fortuna di aver passato l’Arcipelago senza nuova battaglia. Il valore spiegato dai Veneziani in tutta questa guerra fu stupendo; fu quale neppure le greche e romane istorie possono mostrar 1’ eguale. Poco tempo ebbe il Mocenigo per poter illustrare con grandi fatti il suo nuovo comando, poiché dopo aver inseguito e molestato qua e colà il nemico, ammalatosi, approdò a Standia ove rese 1’ ultimo respiro nell’ anno settantesimo primo della sua età (2), uno dei più distinti generali della Repubblica, di venerabile aspetto, integerrimo negl’impieghi, che sebbene non preparato sviluppò rapidamente un ingegno straordinario, e somma attitudine alle cose marittime. Col suo morire restò la flotta affidata a Francesco Mo-rosiui provveditore. (1) Descrizione del fatto Cod. CCXI, ed anche stampata. In Ham-ot*orn-’ leggesi la data 18 maggio. >