403 sì grande sproporzione maggiore e che per ogni via si adoperava ad impadronirsi della città. Il capitan generale Mocenigo animava tutti col suo esempio. Scoppiata una potente mina del nemico, un ufficiale fuggendo, gli grida, tutto è perduto : « Ebbene, rispose il Mocenigo, morremo coll’ armi in pugno. Chi è valoroso mi segua ». Rannoda i soldati, raccoglie i cittadini, eccita le stesse donne ad armarsi di sassi e scagliandosi sui nemici, li rincaccia dal baluardo già preso, li precipita nelle fosse, e le ricolma dei loro cadaveri. Quell’atto di coraggio costò a’Turchi venti anni di guerra, costretti a ritirarsi dovettero attendere a fortificare il loro campo ed aspettare l’arrivo di nuovo rinforzo. Mocenigo entrato poi ne LI a Suda, costrinse anche di colà i Turchi ad allargarsi. Lunga assai o stucchevole cosa, e certo allo scopo di questa storia inopportuno sarebbe il narrare a parte a parte tutt’ i fatti militari avvenuti, nominare tutti coloro che in questa guerra eroica di ben venticinque anni si resero illustri ; che se in grandissimo numero furono i pa-trizii veneziani e i capitani stranieri che ben meritarono di Venezia, non minore è certamente quello di tanti altri del popolo, che in quest’ assedio si segnalarono, « conciossia-chè bene spesso, osserva il Nani (1), l’opere più illustri uscirono da uomini oscuri, e confuse nello strepito delle armi e tra la folla degli accidenti lasciarono il privilegio solito alla fortuna di rilevar i fatti de’ principali e seppellir in silenzio et in obblivione la turba». Erano però sagrifizi immensi che la Repubblica faceva, sagrifizii di uomini e di tesori, e non vedendosi probabilità di valido soccorso dalle potenze cristiane, nè intenzione nei Turchi di desistere dalla guerra fino a tanto che eon- (l)^Nani t. II, pag. 214.