243 me, e tali che potevano molto profittare all’Italia e ai Veneziani in particolare; poter facilmente avvenire che Ferdinando non tosse più re de’ Romani, e gli stessi Spagnuoli lo abbandonassero, purché la colpa de’ succeduti disordini si desse alle sue male operazioni e restasse l’imperio nella casa; trovarsi egli intanto sommamente impacciato, senza sapere come trarsi da tanta briga; che ben farebbe dunque la Repubblica a valersi dell’ opportunità, e con questa occasione cavar di mano agli Austriaci mediante qualche somma di danaro quelle terre e quei posti di qua dai monti e i luoghi di marina, nidi infesti degli TJscocchi togliendoli loro per sempre, mentre questa occasione Dio sa quando ritornerebbe. « Io non mi posso tenere, soggiungeva, il bene bisogna che lo ricordi, sin ora ho detto quel- lo saria di servigio alla Repubblica, dirò anche quello sarebbe il servigio di tutta Italia. Ora saria il proprio tempo di batterli, Dio ce lo manda, e son sicuro che ci levaressimo il giogo. Quattromila Spagnuoli che vi sono ci tengono incatenati tutti, perchè gli altri alla sola voce di libertà si volteriano tutti ; ma ci vuol cuore e danaro ; uno 1 ho, ma se avessi anche gli altri, in quattro mesi li vorrei cacciare di questi stati. » Sollecitava quindi più che mai per la lega la cauta Repubblica, la quale voleva andare coi piè di piombo, e non compromettere la pace testé ridotta a termine dai commissari intervenuti al trattato d’Asti, ultimare la faccenda degli TJscocchi e tornare pienamente libero il commercio (1). Ebbene, diceva il duca, farebbe egli solo, purché gli si dessero danari (2). E vieppiù in questo infiammavasi al giungere del conte di Mansfeld inviato dal Palatino (3) e da altri principi germanici per manifestare (1) Secreta 23 giug. 1618, p. 168. (2) Dispacci R. Zen 30 lug. (3) 5 Feb. 1619 ib.