250 Il doge vedendosi allora perduto e non potendo, come si esprime il Sagomino, più a lungo patire il calore del fuoco ed il soffocamento del fumo neH’interno del palazzo, prese la deliberazione di fuggire per la porta dell’atrio della chiesa di s. Marco. Ma trovati anche colà alcuni de’ maggiorenti tra i Veneziani e suoi congiunti, si fece animo a dir loro; « Ed anche voi, fratelli miei, avete voluto unirvi a’ miei danni ? Se ho peccato colle parole o colle pubbliche azioni, deh ! vogliate concedermi la vita ed io prometto a tutto rimediare. » Essi però protestando lui esser uomo scelleratissimo e degno di morte, gridarono che invano ei tenterebbe fuggire, e di molti colpi lo stesero al suolo. In pari tempo il figliuolino suo ancor lattante, che la balia cercava di mettere in salvo, fu dalle braccia di lei strappato e iniquissimamente ucciso. Le guardie straniere furono tutte trucidate : i freddi cadaveri dell’ abborrito doge e del bambino, posti in una barchetta, furono portati per infamia al macello, donde solo alle preghiere di Giovanni Gradenigo, uomo di santa vita, furono levati e sepolti nella badia di s. Ilario (976). Così era compiuta la vendetta popolare. Ma l’incendio, per la furia del vento, erasi disteso tutto all’intorno, ed essendo ancora le case in gran parte di legno, si propagò irresistibilmente fino a s. Maria éSobenigo. Arse il palazzo ducale, arsero la chiesa di s. Marco, ben trecento case e grandissimo numero di fondachi, ond’erano dappertutto grida, pianti, desolazione. Quante famiglie senza tetto, quante sostanze in breve distratte, quanti dall’ agiatezza, dalla ricchezza caduti in povertà ! E a ciò aggiungevasi poco dopo nuovi imbarazzi alla Repubblica e grave pericolo di guerra. Imperciocché la principessa Valdrada, salvata forse per non attirarsi addosso la collera de’ suoi congiunti, partendosi da Venezia si recò alla corte di Ottone II, succeduto nel 973 al padre, e colà gettatasi a’ piedi della regina madre