839 mostrò una carta antica comprovante i suoi diritti. Altra carta presentò eziandio il vescovo, ma non essendo riconosciuta valevole {et non erat conveniens), fu pronunziata sentenza in favor dell’ abate, colla solita minaccia di tutta P ira del cielo ai prevaricatori, condannati inoltre al pagamento di libbre dieci d’ oro, metà alla Camera del ducale palazzo e metà al monastero (1). Altera volta Giovanni abate e Maurizio figlio di Maurizio Memo (2) movevano lite nel 1065 a Pietro, figlio di Domenico Orseolo, per certo tratto di terreno. Le due parti si presentarono ai giudici nel portico della casa di Stefano Candiano, ove Maurizio spiegò una carta di donazione, in virtù della quale Vitale patriarca di Grado avea ceduto il terreno contestato alla dogaressa Marina, vedova del doge Tribuno Memo, ed a Maurizio di lui figlio. Dall’ altro canto diceva 1’ Orseolo avergli Maurizio ceduto quelle terre in vadimonio (3) e mostrava la carta. I giudici, dopo ascoltata la lettura degli atti, ordinarono intanto a tenor della legge, che esso Maurizio avesse a recarsi sul luogo contestato e colà misurare e segnare esattamente il confine fin dove egli aveva ceduto la proprietà all’ Orseolo, giurando Don avergli ceduto più oltre. Ciò fatto e provato, Maurizio giurò sugli Evangelii di non aver ceduto all’ Orseolo se non il tratto di terreno designato, dopo di che ambedue le parti vennero davanti al doge e Pietro Orseolo fu obbligato a fare carta di sicurtà all’ abate e a Maurizio Memo di nulla pili da essi pretendere, come dall’ altro canto l’abate e Maurizio dovettero confermare per nuova carta all’ Orseolo (1) Carta del 934. Vedi nei Documenti. 1 (2) Nipote dunque del doge Tribuno Memo. (8) Il vadimonio presso i Veneziani era atto con cui si autenticava il legale fondamento della dote, provandolo con carta pubblica o privata, ovvero con testimonii. Mutinelli, Tossico Veneto. Però la voce vale anche malleveria e pegno. V. Ducange.