268 Per quella carta esentavansi i Veneziani dagl’ indebiti pesi, di cui erano stati aggravati; riducevansi le gabelle; or-dinavasi agli ufficiali, preposti al commercio, di non trattenere i loro bastimenti oltre a tre giorni ; dovendo però i soli Veneziani godere di tali favori, era loro espressamente proibito di caricare sui propri navigli merci appartenenti ad A-malfitani, Ebrei o Longobardi, affinchè spacciandole per proprie non ne venisse fraudo all’ erario ; aggiungevasi inoltre non avessero a dipendere per le cose giudiziarie se non dal logoteta (magistrato superiore greco), ripromettendosi dal canto loro gl’imperatori ogni prontezza per parte della Repubblica all’ occorrenza d’un trasporto di genti in Lombardia ossia Itaba (1). Così era ornai divenuto un interesse dell’ impero d’O-riente di stringersi sempre più ai Veneziani, i quali, dacché quello si trovava aver bisogno della loro marina, da protetti si erano fatti protettori. Dall’ Oriente volgeva poi l’Orseolo 1’ attenzione alle cose d’Italia, ove durante 1’ assenza e la minorità di Ottone III, i principi, i governatori, i vescovi sempre più alzavano il capo e già si comportavano da indipendenti. Ad ottenere dunque la continuazione dei traffici e la sicurezza dei mercati era uopo amicarseli tutti, e ciò fece appunto il doge conchiudendo con ciascheduno particolari trattati (2). Nè ommise di mandare altresi ambasciatori a re Ottone in Alemagna, che, veduto 1’ abbassamento della potestà imperiale in Italia, stimò opportuno consiglio conservarsi 1’ amicizia dei Veneziani, ai quali perciò concedette di buon grado (1) Et curri aliis servitiìs operare curn suis navigiis prò varica-tìone de nostro hóste quam forsitan vult nostrum imperium in Longo-bardiam dirigere. Cosi il docum. (2) Cum italicis vero principibus amicitiae foedere copulatus semper mansisse próbatur. Sagomino.