453 tere la cosa in giustizia, addicevasi prima di tutto che il duca fosse rintegrato e poi la causa si vedesse da giudici imparziali nel modo e luogo convenienti. Quanto all’ oratore fiorentino disse : che i suoi signori nulla domandavano se non pace, e se S. M. avesse qualche cosa a pretendere, sponesse ; ch’egli però pensava che nessuna cosa giuridicamente potrebbe richiedere, giacche la convenzione fatta dalla sua Repubblica era stata strappata forzatamente al tempo della tirannide del papa, intorno alla quale molto si distese. Quello di Ferrara infine domandava fosse il suo signore incluso nella pace, conservando quanto attualmente possedeva, e a tenore delle antiche investiture imperiali. Il gran cancelliere di Francia promise a ciascuno che delle cose loro sarebbe trattato, e domandò si procurassero sufficiente mandato a conchiudere tra i confederati una nuova lega e convenzione pel caso che la pace coll’ imperatore non potesse aver effetto o questo poi vi mancasse, lo che, come il Taverna scriveva, dimostrava non esser sicuro il re di Francia che la pace seguisse. Ma le assicurazioni, con cui cercavasi di tener a bada gli ambasciateri italiani, non erano tali da non lasciare qualche ombra di sospetto e da per tutto insistevasi per venire in chiaro di quanto si trattava, ed il 3 d’agosto scriveva ancora il Taverna al duca di Milano (1) : « Le cose dei confederati sono nei termini infrascritti. Li signori del consiglio regio hanno detto al magnanimo oratore veneto e fiorentino che aveano fabbricato una nuova forma di capitoli per li casi loro, per la quale erano inclusi satisfacendo con Cesare, e tali capitoli aveano dati ai Cesarei, i quali non aveano ancora risoluto, ma che speravano bene e che co-nosceriano che avevano fatto quanto si è potuto, di modo che chi non vorrà ingannarsi da sua posta assai potrà co- (1) Sanuto LI, 235.