473 riconfortati dicevano all’ambasciatore Carlo Cappello : « Voi ambasciatore per nome di quella illustrissima Signoria ne avete sempre data ottima speranza e così speriamo che saranno gli effetti, e noi dimostreremo che la libertà nostra e d’Italia 1’ abbiamo più cara che la facoltà e la vita stessa » (1). Infatti era in Firenze un generale entusiasmo nel-l’armarsi, nel fortificare, in fare tutte le provvisioni che alla propria difesa giovare potessero, e sempre più veniva sollecitata Venezia, la quale adducendo le grandi spese onde era aggravata, mettendo innanzi le opere sue in Lombardia che fruttavano anche a Firenze, poiché per quelle teneva distratte le forze imperiali, andava, secondo il solito, temporeggiando. Intanto giungevano le notizie della conchiusa pace di Cambrai e dell’empia ed inumana determinazione del re di Francia e de’ suoi agenti che sacrificavano i collegati : « talché questo fatto sarà, scriveva il Cappello, una perpetua memoria a tutta Italia di quanto sia da prestar fede alle collegazioni, alle promesse e ai giuramenti di quella corona e de’ suoi ministri ». I Fiorentini più che mai supplicavano quindi la Repubblica a non li abbandonare : « noi siamo non solamente per esporre, dicevano, tutte le facoltà nostre, ma eziandio per morire, i vecchi stessi colle armi in mano, alle mura e per difesa di questa patria, e conosciamo quello che voi sempre ne avete detto essere verissimo, che la conservazione nostra è posta nella sola e gagliarda difesa». Alle tante sollecitazioni deliberava finalmente il Senato incaricare il duca d’ Orbino di muovere con tremila fanti alla volta di Firenze (2), ma poca fiducia ne veniva ai Fiorentini. Il duca infermatosi per viaggio, si arrestava, e la (1) Ibid. 11 luglio. (2) Sanuto LI, 144, 145. Vol. V. 60