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    Comparso il doge, che allora era Paolo Renier, distinto non meno per la dignità ond’ era rivestito, che pel vasto sapere e per la ben conosciuta sperienza, accompagnato dalla Signoria, tutti s’ alzarono, poi preso ch’ebbe ciascuno il suo posto e fatto generale silenzio nel-l’adunanza, il Tron, salito in bigoncia, lesse il seguente discorso (1) :
    « Serenissimo Principe. Questa è la quinta volta che per comando dell’ eccellentissimo Senato ho l’onore di servire in questo inquisitorato alle arti, nell’ esercizio del quale ho potuto esaminare e conoscere lo stato, le circostanze ed anche l’origine di alcune delle principali arti non solo di questa città, ma eziandio dello Stato, come pure i rapporti che esse hanno col bene della nazione, e coi tanti rami dell’ interno ed esterno commercio e colla navigazione.
    Posso prima di tutto assicurare Vostra Serenità, che le arti, le quali in patrimonio della grandezza della nazione abbiamo ereditato da’ nostri maggiori, se sono molte in numero nella città di Venezia, sono esse però quali più e quali meno in uno stato di decadenza, tanto rispetto a ciò che esse furono, quanto rispetto a ciò che potrebbero essere ; decadenza la quale è nata parte dall’ indole dei tempi, dai vizii degli uomini, dalle moltissime contrafazioni, ed in parte dalla continua guerra degli esteri che le combattono. Le differenti costituzioni loro ricercano un esame particolare sopra di ciascheduna, ed una regolazione propria ai diversi caratteri delle medesime ed alle imperfezioni e difetti che le circondano : e,
     (1) Quadro più evidente, più ragionato di questo non potremmo noi porgere ai nostri lettori, a’ quali, siamo certi, non ne sgradirà la lettura. Coll’accogliere di frequente gli scritti stessi dei magistrati della Repubblica, serviamo in pari tempo e all’ esattezza storica e alla letteratura veneziana.