,57 Padova, quand’io faceva le viste di studiarvi diritto. Tant’era adunque, salvo l’odore, che ci fossimo chiusi nel più oscuro camerin del Cappello. S’ aggiunse anche che ci eravamo raccolti per passare alcune ore tra noi, in seno ad unii onesta libertà; equi il numero nostro si trovò singolarmente allargato, giacche il luogo era pieno d’altre provveggenti persone, le quali non s’e-rano date la posta in piazza, e quindi ne avevano prevenuto, e pigliato anche i migliori bocconi. Le tavole erano non solo messe, ma quasi dismesse: vi ci acconciammo come meglio abbiamo potuto, e il mio posto fu l’ultimo canto d’un lungo tavolone, ov’era da ammirarsi la somma mia industria, poiché seduto affatto non era, nè poteva dirsi nè meno che fossi in piedi, ma mezzo mi reggeva sulle gambe, mezzo era portato dall’estremo labbro d’una scranna di legno. In sì misera condizion di equilibrio, che m’obbligava a star sempre sopra me stesso, per non dar soggetto di risa alla brigata, se mai fos-s’ito, cosa molto probabile, a tastar con le natiche il suolo, mi trovai per caso seduto presso u-na cara persona di mia conoscenza ; amabil persona, che altrove o sola m’ avrebbe fatto il maggior piacere del mondo, ma che ivi, in pubblico, nella condizion di equilibrio in cui sventuratamente io versava obbligandomi a star ogni ora L’App., Voi. II. io