418 vuoto col ritorno dell’ espresso all’ altra scritta da Verona che le ho spedito, fanno che io inoltri pur questa a V. E. con alcuni brevi cenni sinceri, onesti e tratti dalle circostanze correnti. Non vi può esser questione in questo momento se dovesse la Repubblica di Venezia prender parte o no negli afìari correnti, raccogliere o no delle truppe per impedire anche neutrale quei mali che porta seco la guerra, mentre ora non si può parlare che del presente, al quale riferendosi, egli è certo che la Repubblica di Venezia in braccio alla buona fede soltanto non potea in nessun modo impedire l’ingresso delle truppe austriache nei propri Stati, aperti da ogni lato, o tentandolo senza riuscita si sarebbe procurato un nemico che avrebbe accresciuto per diritto i mali presenti, se per resistere ad esso, atteso le più numerose sue forze, non vi volle meno di un’ armata francese condotta da un uomo che unisce la maggiore intrepidezza alle qualità più eminenti di un generale. Ciò posto, non può essere attribuita ad offesa della buona fede ciò che diventa conseguenza necessaria d’un tale ingresso, se non vi concorre la volontà del governo per il quale sarebbe certo assai minor male avere nei propri Stati una sola armata sulla difesa piuttosto che due che si battano. Nè le cose indicate a V. E. dei mali nascenti da una parte vogliono dire che non si curano gli altri pur troppo veri, e sopra i quali sono certo che e coi generali austriaci e a Vienna si saranno fatte delle pressanti lagnanze, ben lungi dal procurare ai nemici della Francia dei soccorsi pecuniarii, al che oltre la buona fede, altre circostanze si oppongono. Nè certo si potrà imputare al Governo se nascono de’ tristi accidenti alle volte per resistere a delle personali violenze, e V. E. convenne meco piix volte, e ne sia testimonio la lettera eh’ ella mi scrisse sopra di un tale argomento, e della quale le tras-