350 grazia delle quali egli si restringeva a protestare che se dentro quarantotto ore non gli venisse una promessa di ridurre le forze militari in Venezia sul piede ordinario, egli avrebbe dichiarato la guerra alla Repubblica, e che dal Direttorio aveva una plenipotenza nel governo di questo affare. Mi aggiunse che io scrivessi che avrebbe da me ricevuta una risposta decisiva o in voce o in iscritto, che la Repubblica di Venezia poteva scegliere chi le fosse piaciuto per trattare con lui, o col ministro Lalle-ment intorno alla modalità di un tale disarmo, contento eh’ esso si andasse facendo senza lina certa celerità per un riguardo verso della Repubblica, ma che dell’ effetto voleva essere sicuro, insistendo con forza che le fortificazioni dell’ isole, che i continui esercizii del cannone, che gli altri estraordinarii armamenti, tornava a replicare, erano un’ ingiuria che la Francia non poteva nè doveva soffrire ; che egli non entrava nelle sue viste politiche, ma che componendosi seco lui amichevolmente le cose, la Repubblica veneta e lo Stato per le spese incontrate nel mantenimento delle truppe francesi avrebbe potuto avere un risarcimento nella cessione di Mantova e nella distruzione di Trieste eh’ egli avrebbe promessa e mantenuta, posto dannosissimo al commercio veneto ; che se poi nè l’uno nè 1’ altro di questi partiti fosse piaciuto, continuassero i Veneziani con prontezza le somministrazioni alle truppe francesi, ed egli prometterebbe che sarebbero soddisfatti in contanti. Aggiunse che 1’ occupazione fatta di Ancona era una conseguenza della diffidenza concepita per la condotta dei Veneziani, onde avere un mezzo per distruggere il loro commercio al caso che le cose amichevolmente non si combinasssero ; che avea già stabilito di mandare a Venezia un uffiziale ad intimare il disarmo, tempo ventiquattro ore, ma che un riguardo verso quella Repubblica gli