42 antichi castelli del Patriarca abbattuti (1), come la Moresca dovea esser simbolo della guerra, mentre le forze d'Èrcole ricordavano la destrezza dei Veneziani nell’ arrampicarsi su per gli alberi dei navigli e sulle mura delle fortezze, il mazzolino offerto al doge, la palma della vittoria, e finalmente la decapitazione dei tori, il vergognoso tributo imposto a quel Patriarca (2). Movevasi poi come agitata onda il popolo, prima stipato, e spargevasi per la piazza ad osservare le maschere, a godere degli spettacoli dei saltatori, delle ombre, delie marionette, e finalmente disper-devasi nelle osterie, così mettendo fine a quella festa veramente popolare. Fra i giuochi di forza e destrezza va posta altresì la caccia dei tori, barbaro divertimento, che troppo ancora ricordava i circhi e gli anfiteatri di Roma. Ornavasi il campo (piazza) a ciò prescelto di arazzi e tappeti, vi si ergeva un anfiteatro per gli spettatori, limitavasi con barriere lo spazio, disponevasi l’orchestra. Introdueevasi al suono delle trombe il toro legato alle corna da una fune i cui due capi erano tenuti da due combattenti detti tira-dori, vastiti per lo più di calzoni di velluto nero con giubboni di scarlatto o di drappo, berretto rosso o nero in capo secondo che appartenevano ai Castellani o ai Nicolotti. A vieppiù inviperire il toro si legavano alle sue corna fuochi artifiziati, e posto che si fosse in movimento succedeva la prima molada, cioè lo scioglimento dei cani che gli si slanciavano alle orecchie, mentre i tiradori lo facevano volgere di qua e di là, replicando 1’ assalto dei cani finché quelle ne fossero del tutto strappate. (1) Tal macchina sarebbesi sostituita all’antica cerimonia dei castellani di legno, che il doge andava con un bastoncino ad abbattere nella sala così detta del Piovego. (2) Vedi questa Storia, t. II, p. 74.