389 al Senato, che lo rifiutò colla maggioranza di cento voti contro settanta, in virtù delle riflessioni di Francesco Donà, che lo considerò improvido, siccome quello che a-vrebbe rovesciato d’ un tratto il credito pubblico con tante cure coltivato dai maggiori, e dallo stesso attuale Senato, suggerendo invece come più utile operazione quella di aprire un nuovo prestito con guarentigia sui beni delle Scuole grandi e delle arti, mallevato anche dal Maggior Consiglio. Invano opposero i due Savii di Terraferma Tomaso Soranzo e Andrea Erizzo essere assurdo 1’ affrancare debiti quando per ciò fare conveniva incontrarne di nuovi, che il credito della zecca era nullo, poiché non vi affluiva più un soldo, che i capitali in essa e-sistenti ormai perdevano dieci per cento per effetto dei tempi calamitosi, che i bisogni pubblici erano tali e sì urgenti da non ammettere dilazione e troppo sottili considerazioni ; che le scuole e le arti non essendo tali, quali erano nell’ universale opinione, non era da sperarsi da esse i vantaggi che bisognavano ; che il crollo derivante ai capitali de’ depositi dalla divisata sospensione delle affrancazioni non sarebbe nè così grande nè così ruinoso. Prevalse tuttavia 1’ opinione del Donà, che si oppose anche all’ idea d’ un prestito di ottocento mila ducati al cinque per cento, osservando che qualora il principe desse il prò’ del cinque per cento, i privati non avrebbero più trovato danari che al sei con perniciosissime conseguenze. Quantunque i Savii di Terraferma Domenico Almorò Tiepolo, Andrea Erizzo e Francesco Calbo mostrassero 1’ impossibilità di trovar danaro col censo del quattro, nuovo imprfistito al quattro per cento in ragione di cento mila du cati 1’ anno, finché estinti si fossero gli altri due depositi, o finché si fosse deliberato diversamente. Gli ultimi otto anni, pag. 126.