16 fino dagl’Inquisitori di Stato. e dallo stesso doge, non che da’ principi stranieri e dagli ambasciatori, pel quale liberi da ogni etichetta, più non salutandosi che col nome di maschera, potevano intervenire da per tutto, frammischiavansi tra il popolo, sicuri da qualunque insulto od offesa-, essendo l’individuo in tabarro e bauta considerato come sotto la speciale tutela delle leggi e della doverosa urbanità. £ quando nella vita comune, i patrizi ebbero accettate le fogge francesi, solevano coprirle, vergognando quasi di aver lasciata l’avita toga, di un tabarro o terraiuolo, per solito bianco, rosso da gala, e turchino pel mal tempo, di seta o di panno, foderato o no secondo la stagioné (1), mentre ampia parrucca incipriata, inzaz-zerata sostituivano all’ antica berretta, che però alcuni, specialmente fra gli avvocati, continuavano a tenere in mano. Noi tempi in cui, come abbiam detto, era regolarmente permesso l’uso del tabarro e bauta, s’aprivano altresì i teatri, e quello in particolare di s. Benedetto, al quale fu poi surrogata la Fenice, per la grande opera in musica. Formava questa la passione dei Veneziani, e le cantanti e le ballerine ricevevano applausi frenetici, doni ricchissimi, e pubblici e privati omaggi. Prossimo alla nobiltà era il ceto de’ Segretarii, che partecipi di tutte le faccende del Senato, dei Dieci, degli Inquisitori, delle ambasciate, nominati anzi essi stessi in qualità d’ambasciatori presso alcune Corti, col titolo di Residenti, aveano acquistato negli ultimi tempi una grande influenza nelle faccende e nella politica dello Stato. Menti) Dicevausi Tabarri i uon nobili, a distinzione di questi ohe soli aveano il diritto di portare la toga.