232 a Costantinopoli, Matteo Venier, in una sua lettera 16 marzo 1355, non può essere più vivo e più desolante. « Questo imperio, egli scrive, è a mala condizione e quanto al vero, è a grande estremitade, sì per causa dei turchi che i da (che danno) molestia grande e da tutte parti, si etiam-dio per lo segnior et rezimento che i a (che hanno), del qual mal se contenta, et la universitade vorria la signoria dei latini, fazando (facondo) in prima mention de la Signoria e comun nostro, se la podesse haver : a dir lo vero i no po star (non possono stare) così per cosa del mondo, ma i xe tanto cativi ed ostinadi de malicia, che de lor no se po creder altro che quello che se ve (vede) (1) ». Tuttavia non venne volontà alla Repubblica di ritentare la conquista, che troppo cambiati erano i tempi ed essa aveva abbastanza a fare per preservare dalle armi ottomane, quanto ancora in quelle parti possedeva. Nè si debbono tacere in questo i meriti di Pietro Zeno signore di Andros, il quale colla sua destrezza politica seppe procacciare da Teodoro Paleologo di Morea ai Veneziani le città di Argo e Me-gara (2) e dall’ arcivescovo Stefano Zaccaria, fratello del principe di Acaja, anche quella di Patrasso (3), per salvarle appunto dal cadere nelle mani dei Turchi. Dai quali ancora egli seppe ottenere alcune concessioni in una sua negoziazione col sultano Suleimano che alla morte del padre Baje-zid avea avuto i possedimenti europei, mentre i fratelli Isa e Musa di disputavano 1’ Asia minore (1408). La relazione delle difficoltà eh’ egli ebbe a superare, della condizione delle cose e dei vantaggi ottenuti ci è tuttavia conservata e merita certamente posto tra le più importanti (4). (1) Copia di lettera allegata in altra originale, diretta a Negro-ponte. Cancelleria Secreta all’ Archivio. (2) Comm. Vili, 1388 e 1399. (3) Comm. X, p. 62. (4) Pacta VI, p. 129.