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uno de’complici. PS. Dicesi che la contessa L. lasciasse questa mattina Venezia. »
    In tal modo si calunniano di là dei monti non solo la nostra fortuna, e la nostra cultura, ma gli stessi nostri miti e gentili costumi; e quando quelle menti farneticanti escono in alcuno di quegli stomachevoli delirii dietro a’quali or vanno pazzi, e li chiaman romanzi o racconti, non sanno trovarvi scena più acconcia, che questa innocente Venezia, la quale è. fatta per loro ciò ch’era per gli antichi la casa d’Atreo, come, diceva un chiaro scrittore, il magazzino obbligato delle più ributtanti tragedie. E almeno la conoscessero questa povera Venezia ! ma ne dicono invece tante follie che peggiori i poeti non ne dissero della favolosa Atlantide, o i viaggiatori della misteriosa Timbuclù; se la immaginano a loro modo, e qui p. e. nel guazzabuglio del J. de Paris, gli ebrei noleggiano i dominò in piazzetta a S. Marco; la Fenice ha una scala del doge, le maschere si danno il cenno e si chiamano coi zufolinio passeggiano pei corritoi delle logge, i poveri domandano in carità un poveretto paolo, i magistrati metton le taglie, come sopra si vide, in iscudi, e dai caffè posti in riva a tal canale che si domanda il Canal Laccio, si vedono i piombi scintillanti ( ¿tincellans) del palazzo di s. Marco; ecco un’altra Venezia che