421 cosa pubblica. Ma 1’ inasprimento era troppo grande perchè si potesse quietare così di leggieri. Anche al di fuori avrebbe voluto il doge Agostino Bar-barigo conservare la pace, di cui avea tanto bisogno la Repubblica dopo la disastrosa guerra di Ferrara, ma non erano tempi quelli che pace concedessero. Innocenzo poco stette ad inimicarsi con Ferdinando re di Napoli, dal quale alteramente esigeva 1’ antico tributo ; a ciò si aggiunse che Alfonso per impadronirsi della città dell’ Aquila avea chiamato a parlamento e fatto arrestare'il conte di Montorio che n’era signore; il papa che proteggeva quella famiglia, accoglieva armi ed armati, ed eccitava i baroni del regno, già mal contenti del re e del svio figliuolo a difendere la loro libertà unendosi in una generale confederazione di cui egli sarebbe il capo. Entravano nella congiura anche Francesco Coppola conte di Sarno, che ministro delle finanze era stato fino allora a parte delle avanie del suo signore ed ora temevane la cupidigia, ed Antonio Petrucci segretario del -re. Senonchè il duca di Calabria avuto sentore della cosa, pensò di prevenire i congiurati coll’impadronirsi improvvisamente delle fortezze del conte di Nola, di sua moglie, e de’ figli. Il fatto destò l’indegnazione generale e diede 1’ ultima spinta alla rivolta, ma le due parti non essendo ben parate alla guerra, cercò ciascuna guadagnar tempo col parlamentare e attendere a procurarsi appoggi ed alleati. Ferdinando domandò appoggio a Milano e a Firenze e n’ebbe la promessa; i baroni mandarono a’ signori Veneziani ai quali offerivano, per ottenerne la protezione e i soccorsi, di averli in conto di regnicoli, cedere loro alcuni porti, accordare franchigia nell’ estrazione de’ grani e del-1’ olio, terrebbero infine sè stessi onorati del titolo di gentiluomini veneziani. Rispondeva però il Senato desideroso di pace, condolendosi delle lagnanze che esponevano contro il