418 mo febbraio 1485. Al medesimo tempo (1) la Repubblica riconosceva la tutela di Lodovico il Moro sul nipote Gian Galeazzo e prometteva difenderlo e sostenervelo, ma il doge Giovanni Mocenigo poco potè godere della ristabilita pace, morendo il 14 novembre 1485 mentre le cose già volgevano a nuova guerra. Il suo dogado così inquieto di sette anni e cinque mesi, fu contrassegnato altresì da un grande incendio del palazzo ducale avvenuto nella notte del 14 settembre 1479 (2) per un candelotto lasciato inavvertentemente acceso nella cappella. Il fuoco si distese con tanta rapidità e per modo che ne rimasero abbruciate le stanze d’abitazione del doge, la sala delle due nappe e la stanza ov’ erano dipinti tutt’i dogi ciascuno col proprio stemma e con un polizzino in mano, e vedovasi il Mappamondo e l’Italia in due gran quadri recentemente fatti da prete Antonio de Leonardi, distinto cosmografo. Con grande fatica si poterono salvare la sala dei Pregadi, la cancelleria e la chiesa di s. Marco. Fu sonato campana a martello, accorse tutto il popolo spaventato alla piazza e fu dato mano con mirabile gara ad estinguere, e forse, osserva il Sanuto, quasi tutto sarebbesi salvato, se il doge, per timore di sacco, non avesse tenute chiuse le porte del palazzo. La mattina la Signoria trasportò la sua residenza in casa Duodo di là dal rivo, e fu aperta una comunicazione col palazzo per un ponte di legno a cavalcavia. Ragionatosi quindi il Senato fu a lungo disputato sulla ricostruzione del palazzo. Messer Nicolò Trevisan proponeva si comperasse la casa Duodo, la casa Tron ed altre vicine e in tutto quello spazio si edificasse un grande e magnifico palazzo che da una parte si stendesse fino al canal grande, dall’altra fino a’ SS. Filippo e Giacomo, con due ponti o altissimi (lì 26 Feb. Comm. XVII, p. 55. (2) Così Sanudo ms., il Malip. invece 1183.