verno (1). Tenevano il comando Francesco Barbaro, illustre per nascita, per valore, per cultura di lettere, come fanno fede i molti scritti latini e il suo carteggio coi più celebri letterati del secolo. Con lui era Cristoforo Donato capitano d’armi, e i sacrifizii sostenuti, gli sforzi impareggiabili nel tenere uniti i cittadini, ed animarli col proprio esempio, gli argomenti bellici adoperati, la prodezza spiegata in quella memorabile difesa mostrano il Barbaro ben degno di quegli elogi che cronacisti e storici gli tributano unanimemente. Era il 3 ottobre 1438 quando il Piccinino circondava con ben ventimila uomini la città e pochi giorni dopo cominciava a fulminarla con ottanta bombarde, quindici delle quali lanciavano macigni di trecento libbre. Le mura ne ricevevano non poco guasto, ma si alzavano pi'ontamente nuovi ridotti intorno ai quali lavoravano oltre agli uomini, le donne, i fanciulli, i preti, i frati (2) ; distinta tra le altre per valore una Bona Lombarda campagnuola della Valtellina, seguace di *Pier Brunoro avventuriere parmigiano, non indegna imitatrice delle geste guerriere della sua contemporanea Giovanna d’ Arco. Tentava il Piccinino svolgere le acque dalla città, frequenti erano gli assalti, ma sempre ributtati, tante le perdite degli assalitori che nel dicembre il capitano nemico, udito anche dei movimenti del Gattamelata per venire in soccorso di Brescia, si ritirò, bruciati gli alloggiamenti, a qualche distanza dalla città, piantando tre ridotti sulle principali strade che ad essa mettevano, fermo nel pensiero di ridurla per la fame se non poteva per le armi. Venezia intanto non mancava di adoprarsi in ogni modo possibile per salvare una sì fedele ed importante città. (1) Ciò confessa il medesimo Darù il quale non può tacciarsi di parzialità pel veneziano governo. (2) Cristoforo da Soldo. Istoria Bresciana. lì. It. XXI.