187 pei patti cbe la legavano a Firenze, non poteva accettare l’offerta. Non fu così delicato Filippo Visconti il quale non potendo in virtù dei recenti patti, apertamente aiutare i Lucchesi, si studiò di farlo nascostamente, mostrando di licenziare da’ suoi servizi Francesco Sforza, il quale allora come per conto proprio entrò in Toscana con tremila cavalli ed altrettanti pedoni nel luglio del 1430 per la strada della Lunigiana e di Pietrasanta. Il Petrucci insospettitosi del Guinigi, s’accordò collo Sforza, sorprese quel principe coi suoi figli e lo mandò a Milano ove furono tutti custoditi nella torre di Pavia. Lucca tornata in libertà, rimandò con grossa somma lo Sforza, ma continuando i Fiorentini la guerra, sebbene tolta ne fosse la cagione coll’ allontanamento di quello eh’ essi chiamavano il tiranno, ottenne da Filippo altro generale che fu Nicolò Piccinino. Così crescevano di giorno in giorno i motivi di disgusto col duca di Milano, il quale non cessava di assalire in questo mezzo le terre dei Fieschi, del Pallavicino, del marchese di Monferrato e degli altri protetti della lega, recava molestie e impedimento al libero commercio dei Veneziani, arrestava i corrieri che da questi si mandavano al Monferrato, metteva nuovi dazi sul Po (1), e non lasciava passar occasione di spiegare il suo mai animo verso di loro. In pari tempo continuava a mostrarsi desideroso della pace«, e volgevasi soprattutto colle sue proposizioni al Carmagnola. Difatti fino dal luglio 1429 questi avea scritto alla Repubblica, come trovandosi a Chiari a visitar i suoi beni, il suo fattore Cristoforo Gii ino aveagli detto, che il duca gli avea fatto sapere col mezzo di Francesco Barbavara come ei nutriva qualche sospetto de’ Veneziani e indirizzavasi al Carmagnola onde volesse tranquillarlo (2). Al che rispondeva (1) Secreta XI, p. 67 e av. (2) Secreta XI, p. 20. Vol, IV. 18