97 continuando, le armi non deponessero se non quando cacciati fossero i Barbari dalle italiane contrade. Tutti tenere gli occhi rivolti a Verona, la vittoria di essa essere scintilla che grande incendio promovendo, farebbe tutti correre alle armi per abbattere gli odiati Francesi. «Vinti i Francesi, continuava, qual altro barbaro si ardirà di affrontare la vincitrice Italia ? Tutti saran cacciati, il sole italiano non splenderà più che su fronti italiane, l’aria non udirà più l’ispida favella, i' solchi di questa terra tanto ferace madre non più per altri che per noi recheranno i dolci frutti loro, le spose intatte non daran più al mondo che forti, che sinceri, che liberi italiani. Fu già Venezia ricovero ai liberi Italiani contro l’inondazione d'antichi Barbari, sia Venezia nuova occasione ai liberi Italiani di cacciare i Barbari moderni. Il valore libererà l’Italia, l’unione preserveralla, e già mi s’appresentano alla rallegrata mente nuovi secoli per quest’ antica madre del mondo (1). » Infiammati da queste parole ripigliavano l’assalto dei castelli, grande era da ambe le parti il furore, grande la strage, la città in varie parti ardeva. Nicolò Erizzo, Proveditore straordinario a Vicenza, scriveva precipitosamente a Francesco Labia capitano a Padova : « In questo punto (18 aprile) mi arriva la sicura notizia che ieri a Verona, dietro alcuni colpi di cannone fatti dai Francesi dai castelli di s. Pietro e s. Felice sopra il pubblico palazzo e sopra la città, nacque una insurrezione del popolo, che massacrò molti Francesi, ed hanno li nostri occupate tutte le porte della città. Sopra queste confuse ma in pieno sicure notizie, chiamo in prossimità della città tut-t’i Comuni armati. Le avanzo questa notizia ingratissima Botta L. X. Vol. X. 13