133 rasse la guerra in diritto, ma che intanto egli avrebbe operato di fatto. La condizione de’ deputati era sommamente dolorosa, imbarazzante, e per un giusto riguardo alla dignità delle loro persone, si licenziarono (1). Mentre così facevasi sempre più prossimo il pericolo, il Senato emanava nuovi da mo' ossia decreti per urgenza per provvedere alla tranquillità dell’ interno con opportune pattuglie, alla vigilanza e difesa dell’ estero, per raccomandare agl’ Inquisitori di vegliare sopra tutte le figure marine e militari a salvezza della paLria (2), per fornire la città di acqua, di fieni, di farine, di pietre da macina, di grani e d’ ogni genere di sussistenze per 1’ eventuale caso di blocco (3). E nello stesso tempo decretava duemila ducati alla Comune di Pordenone per compensarla dei danni sofferti (4). Furono questi gli ultimi atti del Senato, perchè giunto il domani il dispaccio dei deputati al Bonaparte, nel quale facevasi cenno per la prima volta delle intenzioni di quel generale di alterare la forma del veneto governo, i Savi credettero opportuno di non convocare più il Senato, stimando più acconcio maneggiare le trattative sull’ argomento in conferenze straordinarie nelle stanze stesse del doge, conferenze illegali, dalla Costituzione concesse soltanto in casi urgenti, nei tempi delle ferie, e le cui deliberazioni col titolo mandantibus sapientibus dovevano però esser sempre di poi al Senato sottoposte e da esso approvate. Si componevano siffatte conferenze della persona del doge Lodovico Manin come capo dello Stato co’ suoi (li Raccolta croìiol., pag. 224 da Codroipo 1. maggio. (2l Ibid. pag. 211. * (8) Ibid. e 212. Parti 28, 29 aprile. (4) Deiib. Sen. T. F. mil. N. 46.