190 che avessero sofferto danni nel 12 maggio, che assumerebbe la nazione tutt’ i debiti del passato governo, e particolarmente il banco giro, la zecca, il pubblico erario, promettendosi infine la sicurezza della religione, delle proprietà e delle vite. Conservavano ancora gli editti della Municipalità lo stemma del veneto leone, ma sul libro che teneva fra le zampe, in luogo del Pax tibi Marce ecc., leggevasi: Diritti e doveri dell’ uomo e del cittadino, il che fece dire argutamente ad un gondoliere, avere finalmente s. Marco, dopo tanti secoli, voltato pagina. Fui’ono questi gl’ inizii del nuovo governo, improntati di moderazione e giustizia. Bello fu singolarmente quel dichiarare benemeriti della patria gli antichi patrizii i quali avevano fatta generosa rinunzia del loro potere e dei privilegi, e a quell’ atto facea plauso lo stesso Bona-parte in alcune memorie scritte di proprio pugno, notando: « Il bisogno di ringiovanire questo governo di mille du-gento anni, di semplificarne la macchina per salvare la sua indipendenza, era generalmente sentito. Onore e gloria alla massa dei nobili del gran Consiglio ! Essi mostrarono in quest’occasione un patriottismo, uno zelo che la loro patria ammira (1). » Eppure diversamente giudicarono poscia gli stranieri, ai quali tornava bene avvilire il governo, che avea-no così indegnamente tradito. I biasimi dati alla deliberazione del Maggior Consiglio del 12 maggio non ebbero fine, fu detto un governo decrepito, imbecille, che cadeva vilmente, e la sentenza de’ forestieri e di alcuni o ignari o malevoli fu generalmente accettata, ed ancora non si parla del suo ultimo atto che con sensi di sprezzo. (1) Correspondance de Napnìéon /.«>', T. Ili, pag. 15G.