i8o RAGIONI DELL’INSUCCESSO DEL PORTOFRANCO dito dalle concorrenze di Venezia, di Sinigaglia, di Ancona e del porto franco di Livorno, nonché da particolari ragioni politiche. Per il commercio con la Germania, Trieste era troppo inferiore a Amburgo, sia per la sua posizione, sia per l’elevatezza dei prezzi di piazza. Il commercio con le Indie impedito dalla pace di Vienna, che tagliava le navi austriache dai porti di Napoli e della Sicilia. Mancava a Trieste la possibilità di immagazzinare grandi quantità di merci; le condizioni igieniche erano cattive; caro il costo della vita, anche perché la città aveva diritto d’imporre alcune tasse. S’aggiungeva, il malanimo corrente tra i patrizi e il ceto commerciale. Non c’erano né cambiavalute, né un vero corpo di mercanti; pessima l’organizzazione dei consoli e del tribunale commerciale. Pessimo anche il sistema doganale, onde le merci pagavano dazi speciali in ogni paese della Corona, che dovevano attraversare. Per ottenere un’unificazione del sistema doganale dell’Austria interna, bisognava prima vincere le gelosie della Camera aulica di Graz e le contese esistenti tra la Carinzia, la Carniola e il Goriziano. Non v’era tanta ricchezza di legname per navi, come si millantava. In realtà, una nave che in Olanda si poteva comprare con ioo.ooo fiorini, costava, costruita a Trieste, il doppio ed era cattiva, come s’era visto con le due navi da guerra San Leopoldo e Sant’Elisa-betta. Infine, il commercio di Trieste languiva per mancanza di fiducia, anche perché le autorità violavano le patenti imperiali emesse per il commercio e per le fiere. Ce n’era di ragioni a sufficienza: e non mancavano argomenti per togliere ogni preoccupazione a Venezia. Il dissidio tra il Comune e il governo s’inasprì nel 1736, quando uscì la patente imperiale che costituì il cosidetto « distretto camerale » o borgo delle saline, togliendo ogni giurisdizione al Consiglio e alle autorità cittadine sul territorio, dove sorgevano i magazzini e dove s’interravano le saline. Nello stesso anno, perduto il Regno di Napoli, cioè la ragione principale d’avere navi armate, Carlo VI, certo bevendo un calice amaro, ordinò il disarmo e lo scioglimento della flotta. Poco dopo la fregata San Carlo fece acqua e affondò nel mezzo del porto: simbolico naufragio, davvero. Le navi rimaste sopra l’acqua furono offerte in vendita — triste destino — alla Repubblica veneta, che era pienamente giustificata in non averle mai temute e che allora le rifiutò. Finirono poi, prima