TREGUA CON GLI ISTRIANI 43 dra veneta si avvicinò quell’anno al porto e gettò alcune bordate di fuoco entro le mura. Ma non si impegnò in un’azione seria. Forse la Repubblica veneta non voleva conquistare Trieste, mentre ancora lavorava con appassionata arte diplomatica per spezzare le alleanze dei suoi nemici e poteva temere di rendere, con quella conquista, anche più intransigente l’imperatore. L’anno seguente invece (1514), guadagnati alla sua causa il Re di Francia e il Pontefice, la Repubblica si buttò senza riguardi diplomatici contro l’impero. Nell’aprile Bartolomeo d’Alviano era davanti a Gorizia: la sua avanzata era stata tutta vittoriosa. Si sarebbe ripetuta la marcia rapida e trionfale del 1508. Allora, anche Trieste sarebbe ritornata a Venezia. Ma gli eserciti imperiali riuscirono a minacciare Padova e l’Alviano, richiamato alla difesa di quella grande piazza, non potè più ritornare nella Giulia. Quivi la guerra seguitò tra continue scaramucce e devastazioni. Venne il momento che Trieste non ne potè più davvero. Già nell'aprile la plebe aveva minacciato una sommossa e il capitano aveva fatto piantare le forche in Camarzo per incutere terrore. Ma nel settembre 1514, senza interpellare l’imperatore, senza curarsi dei suoi rappresentanti, anzi proprio contro l’espressa volontà del capitano Rauber e contro i suoi divieti, il Consiglio maggiore, d’accordo questa volta col vescovo, avviò pratiche per un accordo separato con le città istriane. F tale accordo venne conchiuso a Trieste, mentre ancora imperversava la guerra fra Venezia e l’impero, il 26 settembre, stabilendosi una tregua completa sino alla conclusione della pace generale. A essa fu obbligato anche il Rauber. Trieste era completamente rovinata. Nel novembre, inviando lo stesso Rauber all’imperatore affinché ottenesse l’approvazione della tregua, il Consiglio gli diede commissione di esporre alla Maestà la situazione orribile della terra. Gli diede anzi il testo della descrizione esatta che doveva fare. Il quadro è veramente tragico. La città fiorente del xv secolo vi è ridotta a un’entità informe e impotente. Le mura erano in condizioni disastrose, rotte, qua e là ruinanti o addirittura in macerie. Le torri, colpite dai bombardamenti e dal terremoto, avevano tutti i segni della rovina: alcune erano quasi interamente cadute. La città soffriva di grande carestia e di epidemie. Non aveva più medico, non aveva più maestro delle scuole. Non conosceva più nemmeno le ore, perché l’orologio di Palazzo era rotto. Intollerabili