XXXIII. UN FALLIMENTO La dichiarazione della libertà della navigazione e l’istituzione del porto franco non arrecarono alcun vantaggio a Trieste. Prova tra tutte eccellente del fatto, che la città per risorgere e per prosperare aveva bisogno di ben altro che della libertà del mare e che le ragioni più vere della sua miseria non stavano nelle vessazioni commesse dai Veneziani a danno dei naviganti. « Alla solenne dichiarazione del porto franco — narrò il tedesco Bartenstein nel 1749 — e al pomposo invito rivolto ai mercanti stranieri, risposero alcune navi di commercio venendo a Trieste. Ma qui non trovarono nessuno che acquistasse le loro merci o le cambiasse con altre. Onde il tentativo fallì e i danni che furono allora prodotti tennero lontani i mercanti forestieri dal rinnovare l’impresa ». Il sistema del porto fu organizzato male: immuni da tasse e da dazi l’ingresso e l’uscita dal porto, immune il trasbordo da nave a nave, eccezion fatta per alcune merci; facoltà agli esteri di vendere nel porto; immunità a persone bandite da altri Stati, che volessero prendervi dimora; ma nessuna immunità doganale dentro la città o sulla terra ferma, fuorché in alcuni magazzini. Divieto, inoltre, di vendita al minuto: franchigia esclusivamente per commercio di valore superiore ai cento talleri. Costituita la Compagnia Orientale e pubblicata la sua patente nel dicembre 1719, le fu dato, contro l’essenziale natura del porto franco, quasi il monopolio dei commerci, un vero monopolio nella costruzione delle navi maggiori ed eguale monopolio per i commerci con tutto l’Occidente, ai quali infelicemente essa si volse, malgrado il suo nome.