IO CONGIURA A FAVORE DI SAN MARCO la Carsia e l’Istria imperiale e di fortificarla per farne un propugnacolo e un freno a’ barbari e per scacciare la barbarie dali luochi de Italia. Nel gennaio del 1508 s’ebbero i primi sintomi della guerra imminente. Ne erano avvertiti il vescovo Bonomo, che aveva partecipato alla dieta di Costanza, e il capitano della città, che era andato, col De Monti e col Rauber, ad annunciare al Senato veneziano l’impresa italiana dell’imperatore. Nel febbraio il vicedomino della Carniola avvertì Trieste di tenersi in guardia. Le autorità (13 febbraio) proibirono le maschere e i divertimenti e fecero le prime provvisioni per la difesa. Nello stesso tempo a Venezia si armavano galee per mandarle a Trieste a tuorla. Gli imperiali non tardarono ad accorgersi dei pericoli che li minacciavano in città. Ebbero un tragico avvertimento nella prima settimana di marzo. Verso il 10 di quel mese giunse a Venezia la notizia che una larga congiura era stata scoperta a Trieste. La notizia fu confermata poco dopo: il diarista Amaseo la registrò agli 11 di marzo e la confermò ai 13. Le autorità imperiali avevano decapitato alcuni Triestini (dodici, secondo una versione probabilmente esagerata) e avevano confinato a Lubiana alcune famiglie. La congiura era stata di tradimento contro il governo imperiale. Ma aveva trovato complicità anche fra le truppe del presidio tedesco, poiché le autorità avevano licenziato i soldati del castello, maxime li talianati (gli italianizzati) e non avevano lasato todcsco in Trieste che sapia italiano. L’Amaseo non dice se il « tradimento » fosse ordito a vantaggio di Venezia: né noi sapremmo accertarlo. Ma è ovvio stesse in relazione con gli avvenimenti che si svolgevano. Sui fatti che seguirono, oltre ai documenti e alle fonti particolari, abbiamo il poema di Giusto Giraldi, Guerre fatte da Veneziani alli Triestini l’anno 1508. Nel titolo è aggiunto essere stato l’autore « testimonio di sudette guerre » per dar maggior credito alla narrazione. Questa, però, ha scarso valore come testimonianza, in quanto il poeta e il narratore furono sopraffatti dal fanatico partitante imperiale e la verità da uno smisurato orgoglio cittadinesco. Il Giraldi non potè essere testimonio dei fatti se non come ragazzo, essendo morto nel 1563, e scrisse i due canti certamente a scopo politico, celando tutto quello che non conveniva alla sua tesi circa la fedeltà zelantissima, che la città avrebbe sem-