374 LA PROPAGANDA DEL « GIORNALE DI TRIESTE » suo favore. Ma ognuna mostrava che i loro autori erano stranieri alla città: così un indirizzo allTmperatore dopo la caduta di Vienna è quadrilingue e un’offerta di danaro per l’esercito austriaco è presentata da due Tedeschi, da un Greco, e da un Italiano. È interessante un piccolo dipinto caricaturale compiuto quell’anno e conservato al Museo di storia e d’arte (fìg. 57), che raffigura la situazione di Trieste nel 1848. Si vedono in una barca sei persone di diversi tipi sociali, che vogano per spingere verso la riva della « bella Libertà » la barca stessa, di cui tiene il timone un signore, che mostra una copia del Costituzionale (l’Alpron?). La riva è nel fondo, rappresentata da una roccia, su cui è l’imagine simbolica della libertà. Ma tre persone — un « codino » burocratico, uno slavo e un greco — puntano a prora i remi in acqua e sciano per impedire che là barca vada, là « dove si crepa di fame ». Nel mezzo un popolano, quello che deve esser portato alla riva, guarda e ride con indifferenza plebea. Il Giornale di Trieste mantenne sempre più ardente degli altri il contatto fra la città e il resto d’Italia. Lodava quasi in ogni numero Venezia, che combatteva contro l’Austria, pubblicava gli appelli di Garibaldi, i proclami di Guerrazzi e di Montanelli, si occupava direttamente delle elezioni piemontesi, metteva in burla quelli che spargevano notizie di vittorie austriache, faceva richiamo ai giornali che si stampavano a Venezia, pubblicava poesie in lode della Repubblica di San Marco. All’organo ufficiale che, mentre la Dieta di Francoforte tendeva a diminuire la potenza dell’Austria nella Confederazione, invitava la stampa a sostenerla, il giornale rispondeva (17 novembre) in un articolo che citeremo ancora: « All’affetto nostro per l’Austria voi fate appello! Non abbiamo orecchie per voi. La nostra fede politica è una, come la nostra fede religiosa, che ci rendono bollente il cuore, ardimentoso il pensiero, sereno il dolore, viva e lieta ed eterna come Iddio la nostra speranza ». Con altro scritto il giornale (18 novembre) invocava l’unità e l’indipendenza d’Italia: « A placare i mani sacri di Curtatone e di Volta non resta tranneché spiegare l’iride italiana dal Ticino al Mincio, dal Mincio, all’Adige, al Piave, all’Isonzo, infìn dove stende la sua curva ultima il sorriso del cielo italiano »,