XXXVI. IL PERIODO NAPOLEONICO E LA RICONQUISTA AUSTRIACA Le accuse fatte dal Pittoni alla borghesia, alla sua irrequietezza, alle sue agitazioni rivelano i primi influssi della rivoluzione francese. V’erano, negli elementi meno legati all’affarismo, tendenze favorevoli alle nuove idee democratiche e non aliene al movimento di libertà, che ravvivava tutta l’Italia settentrionale. Sino dal 1785 è attestata la presenza d’una loggia di franchi muratori col segno dell’ancora. Ne era venerabile un francese fatto triestino, E. I. Baraux, e vi avevano gradi importanti — poco dopo — Cesare Pellegrini e Ignazio Gadola. Da atti posteriori risulta che vi appartenessero persone di nazionalità diversa, quanto all’origine, ma ormai tutte fatte triestine: un Francesco Steiner, un Dummreicher, un Giovanni Weber, Giuseppe Platner con suo figlio, Ignazio Hagenaner, Dobler, il dott. Lucchesi e altri. Non era, no, proprio rivoluzionaria e nel 1793 sospendeva le sue sedute — si metteva in sonno, si direbbe oggi — perché così era comandato dall’imperatore e, scriveva il Baraux, perché voleva provare « la calda devozione d'ogni membro della loggia per la Maestà Sua ». Ma non poteva aver avuto funzione diversa da quella esercitata dalle altre loggie italiane, tanto favorevoli alle idee della rivoluzione. Queste erano penetrate molto anche nelle masse operaie. Nel 1793 il console veneziano riferiva come nelle taverne gli uomini del popolo mostrassero «sensi arditi di parzialità per i francesi, bramandone la comparsa, asserendo essere pronti a secondarli e perfino ponendosi, bensì momentaneamente, dei segni sopra la berretta e dicendo che in tal caso così farebbero a similitudine delle coccarde francesi ». Interrogato dalla Corte sull’impressione destata dall’assassinio di Luigi XVI, il governatore Brigido rispondeva, che esso aveva suscitato